ROMA - Si chiude dopo nove anni il caso "Craxi contro Italia" alla Corte europea dei diritti umani. Ieri, infatti, è stato accolto il ricorso presentato dall' ex presidente del Consiglio (e portato avanti, dopo la sua morte, dai familiari) contro lo Stato, condannato per violazione dell' articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata. Si tratta della seconda vittoria postuma per Bettino Craxi a Strasburgo. La vicenda in questione riguarda le intercettazioni telefoniche tra la residenza tunisina di Craxi, ad Hammamet, e l' Italia, disposte dalla magistratura milanese nel 1995, nel quadro del processo "Metropolitana Milanese". Su questo episodio la Corte ha emesso una duplice condanna. I giudici europei, all' unanimità, hanno constatato che «le autorità italiane non hanno seguito le procedure legali», quando, durante un' udienza del processo, furono letti dal pm milanese Paolo Ielo degli estratti delle intercettazioni. Infatti, «non c' è stata un' udienza preliminare nel corso della quale le parti e il giudice avrebbero potuto escludere i passaggi delle conversazioni intercettate privi di rapporto con la procedura». La seconda condanna riguarda le indiscrezioni apparse sui giornali. Con sei voti a favore e uno contrario (quello del giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky), la Corte ha rilevato che «spettava al Governo dare una spiegazione plausibile su come queste informazioni fossero giunte in possesso della stampa, ma non l' ha fatto». Lo Stato, quindi, non ha rispettato l' obbligo di garantire l' effettiva protezione del diritto sancito nel primo paragrafo dell' articolo 8 della Convenzione, secondo cui «tutti hanno diritto al rispetto della propria vita privata e della propria corrispondenza». Inoltre, la Corte non ha riscontrato l' eccezione al diritto garantita all' autorità pubblica (paragrafo 2) «nell' interesse della sicurezza nazionale». La Corte non ha accolto la richiesta, avanzata dai legali, di un risarcimento per i danni materiali subiti da Craxi fino alla sua morte. Per i danni morali, invece, lo Stato italiano è stato condannato a una pena pecuniaria di 6.000 euro, da dividere tra gli eredi. «Il pronunciamento della Corte - ha affermato emozionato il figlio Bobo - è la conseguente condanna del nostro Paese in materia di violazione dei diritti umani. Risulta ormai evidente - ha continuato - il carattere persecutorio e politico dell' azione giudiziaria che costrinse mio padre a riparare in esilio». Il presidente della commissione Giustizia della Camera, Gaetano Pecorella, ha commentato: «Questo dimostra ancora una volta che ci sono stati degli eccessi durante Tangentopoli». E ha aggiunto: «L' obiettivo era buono, ma i mezzi spesso sono stati ingiusti». Nel dicembre scorso era arrivata la prima vittoria: lo Stato fu condannato per violazione dell' articolo 6 (sul giusto processo), in quanto durante i processi a carico di Craxi, i suoi legali non avevano potuto interrogare in aula tutti i testimoni. Nel 2001, invece, la Corte aveva respinto il ricorso presentato contro la condanna per corruzione e illecito finanziamento dei partiti, pronunciata nel 1998 dalla Corte d' Appello di Milano in merito al caso «Metropolitana Milanese», per la quale Craxi aveva parlato di "persecuzione". La Corte riconobbe che l' onorevole fu condannato per corruzione e non per le sue idee politiche. - PATRIZIO CAIROLI
PS. Para quem como Noronha Nascimento anda muito preocupado com condenações do Estado por tribunais estrangeiros, talvez fosse melhor atentar na jurisprudência do TEDH sobre decisões dos tribunais portugueses, sobre assuntos de indemnização por atentados à honra e consideração. É que o TEDH tem dito várias vezes, contrariando jurisprudência dos tribunais locais e condenando o Estado português por isso mesmo que essa honra não é um conceito elástico onde cabe tudo, como parece ser a interpretação corrente por cá.
chapeau!
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